martedì 15 aprile 2014

Before The End [capitolo 1]

ATTENZIONE!

Quello che andrete a leggere è il primo capitolo di un racconto che sto scrivendo, tutto ciò che leggerete è frutto della mia mente e ogni coincidenza con nomi e avvenimenti realmente accaduti è pura casualità; non intendo offendere la sensibilità altrui e invito alla lettura il solo pubblico maturo. Vi chiedo inoltre, di non appropriarvi o divulgare questo racconto, poiché non è assolutamente a scopo di lucro ma solo per puro divertimento personale. Buona lettura.


18 Maggio.

Mi chiamo Max Worrell, ho 36 anni e vivo a Saint Louis nel Missouri.
Non avrei mai pensato di ritrovarmi a scrivere un diario, ma è passata una settimana dall'inizio del coprifuoco e sentivo il bisogno di sfogarmi in qualche modo. Fuori la situazione non sembra migliorare; l'esercito e le forze di polizia pattugliano la città giorno e notte, mentre alla TV danno di continuo notizie di nuovi casi di contagio. Questa mattina ha chiamato Hedges (il mio capo) per avvisare che terrà chiusa l'officina fino a nuovo ordine. Poco male, avevo delle ferie arretrate da fare.
Ed eccomi qui, a passare le mie giornate chiuso in casa a guardare notiziari come se fossi uno di quei vecchi rincoglioniti all'ospizio. Vorrei farmi un giro per strada, prendermi una birra al pub con i colleghi di lavoro o andare a vedere qualche partita dei Cardinals; invece sono rinchiuso nel mio appartamento a scrivere su di un vecchio quaderno logoro. Forse era destino che un giorno il mondo impazzisse e che io mi mettessi a scrivere le mie fantastiche avventure tra queste quattro mura. Chi lo sa, magari un giorno leggeranno sui libri di storia di quando la città era invasa da pazzi assassini e di come il prode Worrell, rintanato nella sua Batcaverna al secondo piano del 12050 di Utah Street, passasse le sue giornate a poltrire aspettando che qualcuno dei suoi condomini, preso da compassione, gli portasse qualcosa da mangiare che fosse degno di essere chiamato cibo. Non come quelle schifezze che continuo a comprare nel negozio all'angolo. Giuro: una volta finito questo casino andrò a fare spesa come si deve e imparerò a fare qualcosa di diverso da un uovo sbattuto o un sandwich. Cazzo sì, voglio imparare a cucinare il pollo con le patate.


19 Maggio.


Partiamo con ordine. 43 giorni fa, nella sola St. Louis, si sono verificati più di 400 omicidi in poche ore.
I notiziari hanno subito parlato di un'ondata di ultraviolenza.
Nei giorni a seguire, anche nel resto del paese si verificarono in numero sempre crescente, atti di ferocia inaudita. Dopo una settimana chiusero le scuole, poi gli aeroporti e le frontiere, mentre da qualche giorno pure i negozi, gli uffici e ogni luogo pubblico. Parlano di attacco terroristico, forse una tossina nell'aria o un qualche tipo di nuovo virus; l'unica cosa certa è che prima di perdere il controllo e iniziare a spaccare la testa al tuo vicino di casa, entri in uno stato catatonico, poi inizi a sbavare liquido nero. Chi si ammala sembra perdere ogni forma di controllo, smette di parlare e si esprime in versi, sembra regredire a uno stadio quasi primitivo. E' assurdo. Il presidente assicura che il governo ha tutto sotto controllo. Ma ne siamo certi?

Oggi una volante della polizia è passata per strada, dagli altoparlanti dicevano che domani, alle 15 in punto, passerà un camion della protezione civile con le scorte di cibo e acqua. Se avessero pure le sigarette sarebbe fantastico. Credo che dovrò di nuovo chiederne una a Jimmy, sperando che suo padre non mi rompa il naso prima. Il signor Reed (Joe) non è un tipo loquace, ha un carattere molto introverso e tende ad innervosirsi facilmente. Sua moglie Ester invece, è l'esatto opposto, piena di spirito e di una dolcezza infinita. Purtroppo, da quando loro figlio più grande è morto in Iraq, capita spesso che la senta piangere per delle ore, mentre il figlio più giovane cerca di farle forza. Jimmy è un gran bravo ragazzo, frequenta il primo anno del college e nel tempo libero fa qualche lavoretto per aiutare in casa. E' pure la mia fonte di sigarette assicurata; basta non farlo scoprire da suo padre, o sono guai. Se sapesse che fuma lo prenderebbe a calci in culo. Sul serio.


20 Maggio.


Il camion è passato puntuale, scortato da 4 mezzi militari come quelli che si vedono nelle zone di guerra. La cosa non mi ha rassicurato. Eravamo tutti in fila fuori dalle case. Mai visto una cosa del genere.
Nessuno parlava, aspettavano solo il proprio turno per poi tornare a chiudersi in casa. Hanno tutti paura, nessuno escluso. Persino il signor Reed, lui che con il suo sguardo alla Clint Eastwood riuscirebbe a far pisciare sotto persino il demonio, oggi  invece sembrava agitato più del solito: credo che pure lui consideri la situazione più grave di quello che vogliono farci credere.

Ho cibo per una settimana, credo. Tra pasta, scatolette di carne, cracker, purea si frutta e barrette di cioccolato e scorte d'acqua, non dovrei morire di fame. L'esercito ha fatto sapere che sarebbero tornati lunedì con un secondo carico di viveri. Per tutta la giornata i camion della protezione civile hanno portato scorte di cibo nella città. Mi chiedo se è così pure dalle altre parti colpite dalla malattia. O forse là se la passano meglio che da noi? Domani proverò a chiamare Lou. Non lo vedo da quando è morta mamma. Spero stia bene.


21 Maggio.


Ho chiamato Lou. Ha detto che stanno tutti bene e che Arlington, per il momento è sicura. Ma ha già in previsione di spostarsi nella casa dei nonni fuori città, giusto per precauzione.

Lou ed io non siamo mai andati d'accordo, mai. Siamo l'esatto opposto l'uno dell'altro, nonostante fisicamente siamo identici: stessi lineamenti squadrati, stessi occhi azzurri presi da mamma e stessi capelli biondi di papà. Quando papà aveva ancora i capelli. Insomma, quasi due gocce d'acqua; se non fosse che lui è laureato, sposato, ha una figlia di 5 anni, un ufficio tutto suo, tre macchine, una moto e una bella villetta nel quartiere residenziale. Mentre io invece, lavoro in una piccola officina meccanica, abito in un appartamento vecchio e bisognoso di urgenti ristrutturazioni, ho la vecchia Ford di papà e non ho mai potuto permettermi una briciola di quello che lui possiede. Quando i nostri genitori si separarono io rimasi a St. Louis con papà, mentre lui e mamma andarono in Texas, a casa dei nonni.

Dovetti lasciare il college e cercare lavoro per poter aiutare mio padre, che nel frattempo era diventato un alcolizzato. Perse il posto di lavoro alla fabbrica e insieme a quello pure la voglia di vivere, lo sentivo tutte le notti piangere e pregare Dio di morire. Qualche mese dopo fu accontentato con un infarto.
Al funerale mamma non venne, Lou non mi diede una risposta valida sul motivo di tale gesto, ma sono sicuro che fosse per il fatto che lei si frequentasse di già con un medico molto importante ad Arlington. Un uomo che avrebbe potuto dare un futuro al suo figlio prediletto, mandandolo in scuole prestigiose e spalancandogli una porta per il successo assicurato. Quindi era meglio per lei dimenticare alla svelta di quell'uomo che per 22 anni la sopportò nonostante lei lo trattasse come una merda.
Io non vedevo l'ora di poter andare al college per allontanarmi da loro, dalle continue urla, pianti e liti furibonde per problemi stupidi che qualsiasi altra famiglia avrebbe superato senza troppe difficoltà; ma che in casa mia diventavano montagne invalicabili. Poi divorziarono e le liti finirono, io cercai di prendermi cura di papà ma fallii completamente. Lo lasciai da solo nell'oscurità, con una bestia che lo divorava pezzo per pezzo; ogni giorno scivolava sempre di più tra le braccia dell'alcol. E io che facevo? Nulla, mi limitavo a guardarlo come si guarda un barbone per strada, uno di quelli a cui non daresti nemmeno un dollaro.
Lo stavo a guardare mentre marciva, sorso dopo sorso. Avrei dovuto aiutarlo, ma il suo comportamento da sconfitto non faceva che allontanarmi, disgustarmi. L'ho lasciato solo al suo destino e l'ho capito troppo tardi, quando una sera rientrando a casa da lavoro lo ritrovai riverso a terra. Morto.
Per un'ora osservai il suo corpo immobile, con gli occhi ancora spalancati a guardare il vuoto in un'ultima disperata ricerca d'aiuto. Lo stesso aiuto che non gli ho mai dato.

E' difficile vivere con un rimorso simile.


22 Maggio.


I signori Robins, al piano terra, hanno deciso di barricare le finestre che danno sulla strada. Dicono di aver visto passare un infetto la scorsa notte. Nonostante abbiano circa settant'anni, sono ancora molto attivi.
Caroline, ad esempio, è un'amante delle attività fisiche, la si può incontrare spesso mentre corre su e giù per Utah St. Il marito, Harrison, è un fissato del ciclismo. Sono delle persone molto in gamba.
Mi ricordano molto i nonni (da parte di mamma). Ogni estate, fino all'età di 18 anni, andavamo a trovarli ad Arlington. Sembra passato un secolo da quando io e mio fratello andavamo a pescare con nonno.
Sono i ricordi più belli della mia infanzia, momenti persi nel tempo; frammenti sbiaditi di una vita passata. Prima delle liti furibonde, quando ancora eravamo una famiglia felice.

Jimmy ha appena bussato alla mia porta, mi ha portato una fetta di torta fatta da sua madre. Quella donna è un angelo.


23 Maggio.


Accadono cose nella vita, che ti prendono a pugni nello stomaco. Ti fanno capire quanto tu possa essere fragile, indifeso. Accadono senza che tu possa fare nulla per intervenire, accadono perché devono accadere. Accadono senza un perché, senza una risposta. Succedono e basta. E ti ritrovi nel più buio dei posti, nel tuo buco infernale fatto di dolore. Nudo, senza difese. Perché nulla ti può difendere dalla vita. Il fato è beffardo, ti prende per il culo da quando sei al mondo. Giorno dopo giorno, ti viene sbattuto in faccia il fatto che tu non controlli nulla, ti puoi impegnare per controllare ciò che ti succede. Ma non farai che ritrovarti sempre nel tuo buco infernale. Non puoi controllare la tua vita, non puoi evitare certi avvenimenti. Devi solo accettare la verità e andare avanti, ogni volta che cadi nell'oscurità, devi trovare la forza di uscirne.
Trovare il coraggio di alzare la testa e gridare un grosso “VAFFANCULO” a questa vita bastarda.
Si, devi solo trovare il coraggio di farlo, ma non è semplice.
Perché quando ti chiamano per dirti che un tuo collega ha ucciso la sua famiglia; tu come reagisci?
Cadi nella buca, oppure gridi con tutto il fiato che hai in corpo?

Io?
Cado nella buca urlando.


24 Maggio.


Non sono riuscito a prendere sonno. Mi sento ancora male per ieri. Sapere quello che ha fatto Mark alla sua famiglia mi ha letteralmente sconvolto. È stato Hedges ha chiamarmi, dalla voce si capiva che era sconvolto tanto quanto me. Io e Mark lavoravamo insieme da circa dieci anni. Parlava sempre dei suoi due figli: Samuel e Zoe, la piccolina di casa. Li amava con tutto se stesso. Ma come cazzo è possibile? Come può una fottuta malattia cambiarti in questo modo? Non riesco a pensare ad altro. Non riesco. Sono terrorizzato da questa situazione di merda.

Ho sentito la famiglia Reed litigare per tutta la mattinata. Jimmy è venuto nel mio appartamento a rifugiarsi dalla lite dei suoi, come se una parete potesse impedire alle loro grida di raggiungerci. Alla fine lo capisco, a casa mia succedeva tutti i giorni che i miei litigassero e che io scappassi fuori casa per non doverli sentire. Mi ha raccontato che prima non era così, che quando c'era suo fratello le cose erano diverse, che andavano tutti d'accordo. I Reed non parlano mai di Tyler, fanno finta che non sia mai esistito. Forse li aiuta ad andare avanti. Ma non è possibile dimenticarsi di un figlio. Non è possibile anche il solo pensare di farlo.

Abbiamo mangiato le ultime cose che avevo in casa, mi ha fatto piacere dividerle con lui. Verso le 15 è tornato nel suo appartamento.



Mi sono svegliato di soprassalto, sudato e con il cuore in gola.
Ho sognato papà. Ha detto che presto mi porterà con lui.


26 Maggio.


Da ieri pomeriggio siamo barricati nella palazzina. Fuori è il caos.
E' successo mentre aspettavamo i rifornimenti; eravamo tutti in fila fuori dalle abitazioni quando all'improvviso, dalla Ohio Avenue, è arrivata una folla di gente infetta. Le loro urla erano assordanti, la loro corsa sembrava inarrestabile. Ero terrorizzato, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle persone.
Li guardavo mentre aggredivano chiunque non riuscisse a correre più veloce di loro, li ho visto trascinare a terra e colpire con furia la testa di un povero anziano. Colpirlo fino a sfondargli il cranio.
E' stato orribile. Continuavo a fissare le loro mani sporche di sangue, la loro espressione di collera, mentre dalle loro bocche sgorgavano fili di bava nera. Li vedevo arrivare, eppure non riuscivo a muovermi. Sentivo la voce di mio padre chiamarmi, gridare forte il mio nome. Ero in preda al panico e sentivo chiaramente la sua voce. Stava venendo a prendermi, ormai gli infetti mi avevano quasi raggiunto. Allora ho chiuso gli occhi e ho atteso l'impatto con la loro furia, continuando a ripetere nella testa: “ E' finita cazzo. E' finita”.
Ma, un'istante prima della fine, mi sono sentito afferrare per un braccio e trascinare con forza sotto il piccolo portico della palazzina. Era il signor Reed. Siamo entrati giusto in tempo, appena chiusero la porta, quei bastardi ci si schiantarono contro. Hanno tentato di sfondarla con calci e pugni e ce l'avrebbero fatta, se non fossero arrivati gli Humvee dell'esercito. Per qualche minuto eravamo nel bel mezzo di una battaglia, si sentivano le urla degli infetti venire coperte dal suono delle armi. Eravamo tutti spaventati a morte, la signora Reed e la signora Robins erano in lacrime, Jimmy stringeva sua mamma tra le braccia. Io non sapevo cosa fare. Ero nel panico più totale. Abbiamo atteso in silenzio per circa un'ora. Nessuno sapeva cosa dire, neppure il signor Reed, visibilmente scosso, che abbracciava sua moglie nel tentativo di calmarla. I Robins erano in lacrime, Harrison stringeva la mano della moglie e tutti e due cercavano di farsi forza a vicenda, mentre Jimmy cercava di contattare al cellulare la sua ragazza. Fuori nel frattempo, gli spari si erano fatti più lontani e non si sentivano più le grida degli infetti. Lentamente ho aperto la porta d'ingresso, quel tanto che bastava per riuscire a vedere la strada; davanti a casa ho contato 5 corpi, ma poco più in là sono sicuro di averne visti almeno altri 3. Uno di loro era un nostro vicino.

I Robins sono stati invitati dai Reed a rimanere insieme nel loro appartamento nella speranza di farli sentire più al sicuro. Jimmy non è riuscito a contattare la sua ragazza, ha paura che le sia successo qualcosa. Ho provato a chiamare Lou, ma il cellulare non ha campo. I notiziari parlano di contagio di massa, la malattia sembra aver colpito circa il 20% della popolazione mondiale, mentre un 32% sarebbe ad alto rischio di contagio. Noi siamo quel 32%.
Nelle grandi città la malattia si propaga in fretta, l'esercito sta cercando di contenere l'infezione, mentre gli ospedali e le farmacie sono prese d'assalto. E' stato dato l'ordine di recarsi, il prima possibile, nei centri per le emergenze che stanno allestendo in ogni città colpita. Fatico ancora a credere che stia succedendo realmente...

Domani dovremo decidere cosa fare: se rimanere qui nell'attesa che la situazione torni alla normalità, oppure se dirigerci verso il centro città in cerca d'aiuto. Nel frattempo proverò a prendere sonno. Sperando di posticipare l'incontro con papà di almeno un'altra trentina d'anni.


BEFORE THE END
[continua]

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